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Fan vs hater. Scelte di vita

Filosofeggiamenti - 02/09/22 - Autore: Moulinsky
Sono fan sfegatato di una ragazza che, inutile dirlo, ha una scheda su questo sito, una delle poche che al momento mi soddisfa dal punto di vista emozionale, massaggifero e di intrigo. Sono rimasto senza parole durante l’ultimo incontro in cui, parlando della società moderna, mi mostra messaggi, rivolti a lei o su club, che definire ottusi, insensati e insulsi sarebbe persino un complimento. Il mittente dei messaggi che chiamerò ‘SforzaInter’ non è mai stato ospite da Elena eppure non manca mai di cercare di montare crociate anti-classe italiana adducendo motivi ridicoli, senza senso e falsi allarmi salutistici, chiaramente un personaggio che al giorno d’oggi viene etichettato come “hater”. Inutili i tentativi della masseuse di cercare di parlarci, invitandolo a prendere un caffè, e non a fare un massaggio come dice lo sforzato. Inviti sempre caduti nel vuoto confermando così il suo essere hater, odiatore di professione nascosto in quell’anonimato che offre la rete, rifugio da cui scagliare i suoi anatemi e le sue sentenze. Da qui la riflessione che mi è sorta spontanea: meglio essere hater o fan? Il fan è contento se il proprio oggetto di attenzione è felice. Richiede la sua attenzione così da poter veicolare il proprio bagaglio emotivo e gioisce per un’eventuale risposta (anche un semplice mi piace). Come il fan, anche l’hater richiede l’attenzione del personaggio: pretende che non dimentichi mai di essere odiato. L’hater, l’unica cosa che ha a cuore è l’infelicità dell’odiato, impiega il proprio tempo e disperde la propria felicità affinché l’altro diventi come lui, infelice. E la costanza è la caratteristica principale dell’hater. Costanza con cui, distruggendo, si autodistrugge. Per cui meglio hater o fan? La seconda tutta la vita, ben sapendo che potrò essere etichettato come sponsor, la seconda perché ho ben compreso le parole di Kundera: ‘la trappola dell’odio è che ci lega troppo strettamente all’avversario’, ed io non voglio essere nemmeno virtualmente vicino ad un insoddisfatto che non è capace di bastare nemmeno a se stesso.

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